Estate 2009 – Grecia ionica





Il programma di viaggio per la prossima estate prevede la partenza da Palermo intorno al 15 di giugno con tappe a Cefalù, Vulcano, Reggio Calabria, Roccella Jonica, Paleokastriza (Corfù, Grecia).

Penso di navigare tra le isole dello Jonio (Corfù, Paxos, Levkas, Cefalonia, Itaca, Zakintos) e spingermi nel golfo di Patrasso e di Corinto durante i mesi di luglio e agosto.

In settembre, ancora non ho deciso quando, seguendo più o meno la stessa rotta ritornerò a Palermo.

Questo il programma di viaggio e per questo sto preparando FFone affinchè tutto funzioni regolarmente per tutta la navigazione. Manutenzione ordinaria al motore (olio, filtri, girante), manutenzione alle vele (rifatte cuciture a randa e genoa), verifica sartiame, scotte, drizze, winch, verifica batterie servizi e motore, sostituzione autoclave, etc…

Non resta che partire per qualche giorno per provare che tutto funzioni regolarmente, fare cambusa, controllare i documenti e mollare gli ormeggi.

Ed ora che sono tornato leggi i diari di viaggio

Nisos Kerkira (Isola di Corfù) Sono in molti a conoscere poco lo Ionio, ma pochi non hanno mai sentito parlare di Corfù. I riferimenti dalle epiche omeriche sino ai nostri giorni descrivono l’isola come un paradiso lussureggiante che esercita una grande suggestione sul visitatore. In un’epoca di turi­smo di massa, la magia di Corfù è guastata dal costante andirivieni di aerei che scaricano sciami di vacanzieri; non a caso la stragrande maggioranza è diretta esclu­sivamente qui, tralasciando le altre località dello Ionio. È dunque quasi sorprendente constatare che sull’isola ancora si trovino angoli di grande bellezza.
È un’isola di forma falciforme antistante la costa ovest dell’Albania e della Grecia continentale. Il canale che ne separa l’estremità settentrionale dall’Albania è largo appena un miglio e da Corfù si può vedere ab­bastanza distintamente la postazione militare di Bu­trino. In netto contrasto alle montagne brulle dell’ Albania, Corfù offre scenari verdi e lussureggianti che dal Monte Pandokrator a nord discendono sino alle pianure costiere a sud. Il centro dell’isola è ca­ratterizzato da alture accidentate interrotte da verdi vallate e campi erbosi. Vedendo le mucche pascolare sulle pendici dell’entroterra si stenta a credere di tro­varsi in Grecia.
Nisoi Paxoi e Andipaxoi (Isole di Paxos e Anti-Paxos)7M a S di Corfù sorgono Paxoi e la piccola Andipaxoi. Lunga 5M e larga 2M, fino a qualche anno fa Paxoi produceva quasi esclusivamente olio d’ oliva per iI quale è rinomata (pare che i grandi magazzini londi­nesi Harrods vendano esclusivamente olio di Paxos). Ora vi giungono regolarmente turisti da Corfù e negli ultimi anni sono sorte numerose ville. L’isola è cono­sciuta anche per la massiccia presenza di flottiglie e in estate porti e ancoraggi pullulano di barche.
Furono le acque al largo di Paxoi teatro di un parti­colare evento, poco ricordato oggi, ma di enorme ri­sonanza nell’antichità: il marinaio egiziano Thamus era diretto verso l’Italia, quando venne sorpreso da una bonaccia al largo di Paxoi. Una voce dal mare gli ordinò di annunciare che il dio Pan era morto. Di­sobbedì due volte, ma al terzo sollecito eseguì l’or­dine e subito un coro di lamenti si levò dal mare. È una strana storia tramandata da Plutarco nei suoi Mo­rafia e comunque quando Pausania visitò la Grecia un secolo dopo, il culto del dio Pan era ancora praticato. Andipaxoi, poco a S di Paxoi, è scarsamente popo­lata. Offre alcuni begli ancoraggi, ma nessuno è si­curo, salvo in condizioni di tempo stabile. I pochi abitanti vi coltivano vigneti e ulivi e dipendono in tutto da Paxoi.

Nisos Levkas, Nisos Meganisi e isole adiacenti Levkas è un’isola soltanto per il canale che la separa dalla terraferma, scavato all’inizio del secolo scorso dal governo greco su precedenti canali già creati dai corinzi intorno al VII secolo a.c. e da Augusto durante il dominio romano. Quella che pare sia la traccia del vecchio canale, scorre attraverso la palude salmastra a E di quello attuale. A W sono visibili i resti di un vecchio ponte turco-veneziano.
La città di Levkas si affaccia su un’ansa del canale e, come molti altri agglomerati situati in un’area sismica, fu completamente ricostruita in seguito a un terremoto nel 1953. Diversamente da Vathi sull’isola di Itaca, o da Zakinthos, durante la ricostruzione non venne seguito uno stile omogeneo, per cui oggi la città è un insieme disordinato di edifici in lamiera ondulata mattoni che si affacciano su vie anguste. Nonostante il suo aspetto dimesso, Levkas ha un proprio fascino ed è il principale centro culturale della regione. In agosto vengono promosse varie manifestazioni con bande musicali e danze folcloristiche internazionali . La banda cittadina si esercita per settimane al fine eseguire alla perfezione pezzi cacofonici, i commer­cianti ornano i propri negozi, la polizia decora strade con stendardi e striscioni e Levkas coinvolge turisti e abitanti in un’atmosfera festosa.
La piatta palude salmastra e le lingue di sabbia nel ­parte settentrionale si contrappongono alla catena montuosa calcarea che forma il resto dell’isola. Gran parte della popolazione è accentrata nelle zone bo­scose a sud e ad est. La massiccia fortezza medievale (circa 1300) all’ingresso N del canale, detta di Santa Maura per la chiesetta racchiusa entro le sue mura, fu ­in seguito utilizzata dai turchi e dai veneziani. È i ­dubbiamente interessante aggirarsi in questo ampio complesso, soprattutto per vedere il porticciolo delle galee adiacente le mura orientali. Nel tratto sud del canale sorge una fortezza veneziana a guardia del­l’ingresso di Ormos Dhrepanou.
L’estremità SW dell’isola è caratterizzata da una dirupata scogliera bianca chiamata Leukatas, da cui prende nome l’isola. Probabilmente si tratta della sco­gliera del “Salto di Saffo”, dalla quale si sarebbe ge­ttata la poetessa lirica di Lesvos vissuta nel VI secolo a.c. In seguito vi venivano gettati i criminali, e quelli che riuscivano a salvarsi erano recuperati e perdonati. Questo tratto costiero non offre ancoraggi, nonostante la vicinanza del porticciolo di Vasiliki.
La costa orientale di Levkas è punteggiata da isolette verdeggianti, tra cui Skorpios, l’isola privata di Aristo­tele Onassis, e Meganisi, la cui forma sulla carta ri­corda un girino gigante, frastagliata sul lato N e con sei ancoraggi ben ridossati. In quest’area si ambienta il romanzo di Hammond Innes, Levkas Man, nel quale l’autore configura queste isole nei resti di un ponte naturale mediante il quale l’uomo primitivo raggiunse l’Europa dall’Africa. Molti spunti del libro si basano su scavi eseguiti dall’archeologo tedesco Dorpfeldt i quale scoprì resti neolitici nei pressi di Evgiros, a sud di Levkas. Dorpfeldt avanzò inoltre l’azzardata teoria per cui Levkas avrebbe tutti i requisiti dell’ltaca ome­rica; in effetti, reperti di epoca micenea furono rinve­nuti nei pressi di Sivota e Vasiliki. L’archeologo sosteneva che in epoca medievale gli abitanti di Lev­kas mossero dalla terra d’origine alla più lontana ltaca odierna, portandovi così il nome e la cultura, ma gra parte degl i archeologi identifica tuttora la patria d Ulisse con l’attuale Itaca.

Cefalonia (Nisos Kefallinia)
Attraversando lo stretto canale di Itaca si raggiunge Cefalonia, l’isola più grande dell’arcipelago ionico. Come ltaca, anch’essa è aspra e dirupata. Partendo dall’estremità N dell’isola, una frastagliata dorsale montuosa si snoda verso S fino al Monte Nero che con i suoi 1600m costituisce la cima più alta delle Isole loniche. I rilievi sono prevalentemente brulli, ma nelle vallate, specie nella parte orientale dell’isola, si esten­dono lussureggianti foreste di pini che scendono sino al mare. Sono costituite in gran parte di un abete lo­cale, Abies cephalonica, alto e sottile che, nonostante il nome, cresce anche in altre zone della Grecia. Nell’antichità Cefalonia faceva parte del regno di Ulisse, e almeno qui gli archeologi sono stati in grado di trovare prove dei siti menzionati da Omero. Quat­tro le città importanti: Pale, Krane, Same e Pronoi. Same o Sami (similmente, Pale-Pali e Krane-Krani) era la città principale, edificata sulle alture immediata­mente a N dell’omonimo porticciolo dei traghetti. Notevoli le vestigia delle quattro città; quelli di Krani in particolare, sono reperti di epoca micenea molto ben conservati. Le tombe di Cefalonia sono ritenute il mi­glior esempio di arte funeraria micenea della Grecia. Come molte delle Isole loniche, anche Cefalonia è le­gata all’Italia, e un tragico evento dell’ultima guerra mondiale ne è la prova evidente. Gli italiani invasero l’isola nei primi giorni della guerra, ma non riuscirono ad averne il pieno controllo. Quando vi giunsero nel 1943 i tedeschi, le forze di occupazione, circa dodi­cimila soldati della divisione Acqui, non solo si rifiu­tarono di collaborare, ma vennero alle armi per sette giorni. AI termine del conflitto furono brutalmente massacrati oltre diecimila italiani. Della carneficina si salvarono in circa duemila; pare che un sopravvissuto abbia raggiunto a nuoto Itaca dove trovò rifugio presso la popolazione locale fino al momento in cui poté tornare in Italia. Fino a qualche anno fa questi era comandante di traghetto sulla linea Patrasso-Brin­disi e ogni volta che passava il canale di Itaca suonava la sirena per salutare i suoi benefattori greci.
A Cefalonia si producono buoni vini che però non de­rivano dai suoi rapporti con l’Italia, ma da produzioni locali francesi e, sorprendentemente, inglesi. Benché più cari rispetto agli standard greci (quasi il doppio del comune Demestica), il Robola bianco e rosso, Muscat e Mavrodafni.
La faglia sismica che affligge le altre isole dell’arci­pelago, in maniera similare interessa anche Cefalo­nia. Edward Lear, durante i I suo viaggio nelle isole, registrò soltanto nel 1863 ben quarantatre lievi scosse. Il violento terremoto del 1953 rase al suolo tutti i paesi dell’isola, ad eccezione di Fiskardho che, pare, poggi su un letto di argilla molle. Un abitante di Argostoli racconta che il suolo ondeggiava come un mare con onde alte un metro. La monotonia dei fabbricati in cemento, edificati durante la ricostruzione di Cefalonia, è in contrasto alla grazia dell’ar­chitettura ottocentesca di Fiskardho.

Nisos Ithaca (Ithaki)
Secondo Omero questa fu l’isola natale di Ulisse. Gli archeologi possono pure disquisire se lo sia o meno ma è ancora Omero a fornire una descrizione mira­bile dell’isola:
In Itaca non strade larghe, né prati. È una terra che alleva capre e pure mi è più cara di terra che nutra cavalli …
Omero Odis

L’ isola è formata da due penisole congiunte da un sottile istmo che costituisce la spina dorsale di Kolpos etou (Golfo di Molo). Le montagne dirupate sono brulle e rocciose, ma in qualche vallata si aprono zone verdeggianti alimentate da piccole sorgenti sotterranee.
Come molte altre isole ioniche, Itaca ha una lunga tradizione marittima e molti sono i giovani che si imbarcano su navi mercantili. Molti altri sono emigrati
in Australia o in Sud Africa, anche se buona parte ri­torna e non è raro che un isolano saluti con un G’day sport! all’australiana.
Il porto principale è Porto Vathi, ma l’isola offre di­versi altri approdi e ancoraggi. A Porto Polis, la baia sottostante la città di Stavros, l’insegnante della scuola locale si occupa di un piccolo museo che cu­stodisce manufatti portati alla luce in quello che si suppone fosse il luogo dove sorgeva il palazzo di Ulisse. La sua ubicazione ancora non è certa, tuttavia sono stati ritrovati tripodi e maschere che indicano il culto postumo dell’eroe omerico. Sicuramente il fatto che Itaca si trovi su una delle principali faglie, po­trebbe avallare l’ipotesi che il palazzo sia stato com­pletamente distrutto da un terremoto, o che Ulisse abbia abitato una dimora relativamente modesta.

Nisos Zakinfhos (Isola di Zante)
Zakinthos, questo l’antico nome ora ufficialmente ria­dottato, è l’isola più meridionale dell’Heptaneso (Ki­thera e Andikithera, anche se originariamente appartenevano all’Heptaneso, ora hanno una propria amministrazione). Come una coppa contenente qual­cosa di prezioso, le montagne di Zakinthos racchiu­dono al centro dell’isola una fertile piana che in un punto si congiunge alla spiaggia sabbiosa di Lagana. I veneziani la chiamavano “il fiore del Levante”, e spa­ziando con lo sguardo sulla pianura coltivata a vi­gneti, (in gran parte della varietà nana per l’uva sultanina), fichi, ulivi, aranci e limoni, si capisce il perché.
Dopo le isole aride delle Cicladi, le sue colline verdeggianti cosparse di mucche al pascolo, ricordano l’in­ghilterra. Tuttavia, nonostante il dominio britannico
prima della sua indipendenza, e gli interessi del Regno Unito nel commercio dell’uva sultanina, ben poco rimane a rievocare questo periodo, se non i prati verdi. Zakinthos è infatti un’isola italianizzata. Fino al terremoto del 1953, che distrusse gran parte dell’ar­chitettura veneziana, doveva sembrare un cammeo la­sciato lì da Venezia.

Solo in Italia si poteva vedere questo stile barocco, frutto dell’in­gegno del XVII e XVIII secolo. Nel 1953 avvenne il terremoto finale che ingoiò tutto il passato veneziano lasciando ancora una volta la città distrutta a lottare, piegata su se stessa. Questo è quanto ac­cadde, per così dire; ma è come una bella donna il cui viso è stato deturpato con il vetriolo. Qua e là, un arco, un fregio, i resti diroc­cati di un’arcata, è tutto ciò che rimane della sua celeberrima bel­lezza.
Lawrence Durrell The Greek Islands

Lawrence Durrell critica duramente l’aspetto della città moderna che personalmente non trovo così sgra­devole, probabilmente perché non ho visto l’antica città veneziana.
La città di Zakinthos domina una baia ben protetta uti­lizzata come base navale sin dall’antichità. Chiunque intendesse dirigere a sud, non poteva rinunciare a Za­kinthos per poter controllare lo stretto verso il Golfo di Patrasso e la rotta sud attorno al Peloponneso. Prima Atene, poi Filippo il Macedone e in seguito romani, vandali, normanni, turchi, veneziani, francesi, russi e inglesi la conquistarono. Durante il dominio britan­nico, l’isola era motivo costante di provocazione per i turchi, poiché i greci vi si potevano facilmente rifu­giare trovando protezione sotto la bandiera neutrale ionica, soltanto per poi avventurarsi di nuovo al­l’esterno e combattere i turchi sulla terraferrna. Venticinque miglia a sud di Zakinthos si incontrano le solitarie Isole Strofadi (Nisidhes Strofadhes). Am­ministrate da Zakinthos, sull’isola più grande un tempo vi era un prospero monastero.

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