VECCHIE VELE: IL RUOLO DEI VELIERI OCEANICI A FINE ‘800


Non sarà mai abbastanza riconosciuto quanto merito, a beneficio del progresso e della civiltà affermatasi tra la seconda metà del 1800 ed i primi decenni del 1900, ha rivestito il servizio prestato dalla gente della marineria velica nei percorsi oceanici più lunghi e sperduti dall'Europa all'Australia, all'Oceania ed alle coste occidentali delle Americhe, con l'obbligato passaggio del leggendario Capo Horn, o scapolando il Capo di Buona Speranza od i capi della Nuova Zelanda. Percorsi tanto lunghi che le navi a vapore, le quali avevano sottratto ai velieri i ricchi traffici misti viciniori, non potevano ancora affrontare per ragioni di autonomia e mancanza di punti di carbonamento. Ma la marineria velica era giunta, dopo tanti secoli, ai suoi ultimi anni di attività cercando di adeguarsi ai nuovi tempi passando dalle costruzioni in legno a quelle in ferro che rendevano possibile l'aumento della portata di stiva, rinunciando infine al fattore velocità e conseguentemente diminuendo all'osso il numero dei marinai e degli ufficiali, pochi uomini impiegati perciò senza requie, con disciplina ed impegno quanto mai incombenti, imposti talora con la forza, con le vie di fatto accettate comunque perché s'era sempre fatto così, come manifestazione incontrastabile e rituale.
L'attività riguardava quanto rimaneva dei trasporti di massa, guano cileno, salnitro peruviano, carbone europeo o australiano, grano americano, minerali di nickel neocaledonesi, lana australiana, petrolio in cassette, legname, pesce in scatola dell'Alaska. E, al tempo della corsa all'oro californiano, anche passeggeri della costa orientale in cerca di ventura, sempre via Capo Horn. Finché l'apertura del Canale di Panama (1914) provocava alla vela ulteriori perdite operative. Non era facile trovare carichi da trasportare nonostante i noli tirati al minimo, ed i velieri facevano talora parte del viaggio in zavorra pur di lavorare restando magari inoperosi per dei mesi in porti che imponevano turni di carico o per scioperi interminabili come lo sciopero dei minatori avvenuto in Australia nel 1906.

I velieri oceanici italiani
I grandi velieri oceanici italiani, di ferro, a quattro alberi, non sono stati molti, circa una decina, però splendide unità che hanno fatto un buon servizio, sette dei quali di progettazione e costruzione nazionale, precisamente ligure. I trealberi, invece, sono stati numerosi.
Meta, Piano di Sorrento e Sant'Agnello sono stati i centri maggiori d'armamento dell'Italia Meridionale con le Case Ciampa, Lauro, Trapani, Cafiero, Argarita, Mastellone, Pollio, Esposito che hanno armato oltre 60 velieri, la metà dei quali impiegati nel Pacifico non riuscendo a reggere però alla crisi della prima guerra mondiale.
Procida e Gaeta hanno messo in mare, con le Case D'Abundo e Scotto Lachianca, una decina di velieri ma è con le liguri Nervi e Quinto con i loro 25 velieri moderni, con Genova Recco e Varazze, con le Case Milesi e Cerruti che il numero sale. Camogli armava numerosi velieri in legno e da ultimo oltre 60 in ferro con le Case Schiaffino, Olivari, Repetto.
(da LA MARINERIA VELICA DI LUNGO CORSO, UN'EPOPEA DIMENTICATA - Aldo e Corrado Cherini)

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