Salvato in oceano un solitario italiano


Il suo sogno era attraversare l'Atlantico in solitario. Ma Salvatore Mantaci, velista 46 di Palermo, lo scorso 5 febbraio ha dovuto gettare la spugna e chiedere soccorso  a circa 1.000 miglia dalla Martinica. A “Tarabaralla” (10,60 m) il Serenity Cbs col quale il navigatore è salpato il 16 gennaio da Las Palmas (Canarie) si è infatti prima rotto lo strallo e poi il paterazzo; una rete da pesca impigliata sotto la deriva ha inoltre reso impossibile usare il motore. Considerate le difficili condizioni meteorologiche, allo skipper siciliano non è restato altro che allertare la Guardia Costiera. Così è stata dirottata verso Tarabaralla la nave scuola danese "Oosterschelde" che si trovava nelle vicinanze e sabato 6 febbraio ha recuperato lo sfortunato velista. Persa anche la sua barca.
Prima di salire sul veliero, infatti, Mantaci ha aperto le prese a mare di "Tarabaralla" per provocarne l'affondamento ed evitare un possibile pericolo per la navigazione.
Per il navigatore palermitano questa avventura doveva rappresentare il coronamento di un “anno sabbatico” iniziato la scorsa primavera, quando ha dato le dimissioni dall'azienda in cui lavorava. I suoi obiettivi erano: “mare e miglia”. Il sogno nel cassetto: la traversata dell'Atlantico in solitario. Un traguardo da rimandare.

 

A Salvatore Mantaci Bolina aveva fatto un'intervista, prima della sua partenza da Las Palmas, pubblicata sul numero di gennaio.

– Salvatore, perché questa decisione e quali gli obiettivi?
«Mi ha animato la passione per la navigazione e per il mare, anni di sogni e di letture, la voglia di navigare per migliaia di miglia senza sosta e in solitaria, la possibilità di navigare in uno scenario di venti e mare differenti dal Mediterraneo, imparare sempre di più sul mare, sul vento e sulla vela, sfruttare la solitudine per meditare. L’obiettivo è percorrere in sicurezza la rotta che mi sono prefissato, il sogno nel cassetto, fino a tornare a casa dalla mia famiglia. Mare e miglia, lo scopo del mio viaggio non sono spiagge e barriere coralline».
– A 46 anni come sei riuscito ad abbinare gli impegni lavorativi e quelli oceanici e in quanto tempo completerai il programma?
«La scorsa primavera avevo deciso di lasciare il lavoro perché non condividevo alcune scelte aziendali, allora per mia etica e coerenza rispetto ad alcuni valori in cui credo ho scelto di disimpegnarmi. Questo era slegato dal mio sogno di mare, infatti ho dovuto lavorare duramente per quasi due mesi alla preparazione della barca per poter esser pronto, ma mi ha aperto la prospettiva di prendermi un anno per realizzare la traversata atlantica e tornare».
– Il tuo Tarabaralla è una barca di quasi 40 anni. Come l’hai attrezzata per l’Atlantico?
«Ho cambiato tutto il sartiame, sistemato uno strallo di trinchetta, rifatto le vele con rinforzi nei punti più sollecitati o soggetti a usura, montato un generatore eolico e due pannelli solari, batterie Agm, lampadine tutte a led, cambiato i serbatoi d’acqua per aumentarne la capacità, aggiunto un serbatoio di gasolio, installato un autopilota, pilota a vento, controllato ogni bozzello, puleggia e altro accessorio della barca, installato un Ais, telefono satellitare portatile; nessun radar e dissalatore, per motivi di budget».
– A proposito, immaginiamo che tu non abbia sponsor.
«Esatto, nessuno sponsor, ho però trovato delle ditte che hanno dimostrato sensibilità per questo mio progetto fornendomi vario materiale o semplicemente facendo uno sconto nell’acquisto di alcuni articoli».
– Il ritorno, in genere, è più difficile dell’andata. Farai scalo alle Azzorre?
«Sono ben conscio che il ritorno sarà la parte più difficile di questa mia avventura. Dovrò ben studiare tavole sinottiche e pilot chart prima di lasciare i Caraibi. Sì, penso di fermarmi alle Azzorre, salvo condizioni meteorologiche che possano impedirmelo e costringermi a proseguire». 
 

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